Messaggio di saluto ai “Repubblicani Liberi” riuniti a Roma il 13 aprile 2013

Cari amici e care amiche,

vi invio alcune poche parole per augurarvi buon lavoro, perché anch’io come l’amico Luigi Di Placido non potrò partecipare alla vostra iniziativa, costretto a casa da una malattia improvvisa.

Non ripeterò le valutazioni esposte da Luigi, perché la “provocazione” che lui ha lanciato a Cesena per superare gli “steccati” del PRI, mi vede totalmente al suo fianco.

Mi permetto però di aggiungere alcune brevi considerazioni, che credo valgano anche per gli amici che non sono Repubblicani, ma che pur provenendo da culture politiche diverse, oggi partecipano ai lavori a Roma e come noi sono costretti ad assistere (da non protagonisti), ad “un’Italia che muore”, che soffoca piano piano, perdendo i propri figli migliori, e soggiogata da una classe dirigente indecente.

Il Paese ha bisogno di una classe dirigente in grado di affrontare le nuove sfide che si pongono al nostro orizzonte: da una parte dobbiamo ridare prestigio e credibilità internazionale all’Italia, agganciando la crescita economica mondiale; dall’altra dobbiamo recuperare 20 anni di immobilismo e fare quelle riforme strutturali necessarie a rilanciare economicamente e civilmente il Paese.

Occorre prendere coscienza della totale incapacità della politica di autoriformarsi e dei soggetti politici attualmente in campo di risolvere i problemi, perché essi stessi fanno parte del problema. Sono intellettualmente e moralmente incapaci di fare qualcosa di diverso, da quello che sono sempre stati abituati a fare dagli anni 70′ ad oggi.

Per riuscire in questa ambiziosa sfida di autoriforma del sistema Paese, occorre rivoltare il paradigma anche della nostra analisi e del nostro agire politico. Occorre RIPENSARSI e vi suggerisco di partire dal prendere coscienza (come suggerisce il professor Guido Caselli) che l’Italia sta vivendo “sospesa” nel limbo dei propri fallimenti come vivono i cittadini di Ottavia, una delle città invisibili immaginate da Italo Calvino.

«ad Ottavia, nella città ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri; s’intravede più in basso il fondo del burrone».

L’Italia se non riesce a rinsaldare, attraverso la coesione civile, le riforme strutturali, il ricambio generazionale, e soprattutto la buona politica, i fili che tengono legata la città di Ottavia alle pareti del burrone sono destinati inevitabilmente ed in tempi brevi a lacerarsi, e NOI cittadini di Ottavia destinati a cadere nel burrone.

Per essere all’altezza della sfida delle città di Ottavia, anche i Repubblicani devono faticosamente abbandonare alcuni dei propri capisaldi e aggiornare le proprie idee. Devono superare sè stessi, mettersi in cammino, trovare nuovi compagni di viaggio e credere nel cambiamento, prima di tutto e oltre tutto. Per realizzare questo processo dovremo superare gli insulti e l’ostracismo dei vecchi, la delusione dei fallimenti, e lavorare sodo in mezzo alla gente.

L’obiettivo è sempre solo uno. Pensare prima al Paese e poi al Partito.

L’obiettivo è contribuire con le nostre idee a rinnovare il nostro amatissimo Paese.

Vi lascio con un aforisma che mi sembra indicato per il nostro impegno futuro:

Chi rimane seduto, in attesa che sia il tempo a cambiare gli eventi, non desidera il cambiamento. La storia si cambia con atti coraggiosi e audaci, non con il vittimismo e l’autocommiserazione, né tanto meno nelle fredde sale d’attesa della propria vita“.

Buon lavoro e arrivederci a presto nel mezzo del cammino…

 

Immagine tratta da: sabrinaangiolini.blogspot.it

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sabrinaangiolini.blogspot.it

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